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THE FIGHTER Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 14 marzo 2011
 
di David O. Russell, con Christian Bale, Mark Wahlberg, Amy Adams, Melissa Leo (Stati Uniti, 2010)
 
Dai capolavori come TORO SCATENATO di Martin Scorsese, nel 1980, a MILLION DOLLAR BABY di Clint Eastwood, nel 2004, dal folgorante debutto di Stanley Kubrick in KILLER'S KISS (1955) ai film cult per l'aria che correva dei vari ROCKY, iniziati da John Avildsen nel 1976, finanche alle recenti ottime prove di nostri cineasti (FUORI DALLE CORSE di Fulvio Bernasconi o NOCAUT di Stefano Knuchel e Ivan Nurchis), a partire da una pellicola risalente addirittura al 1892 (BOXING), cinema e pugilato hanno da sempre progredito a braccetto. Dapprima dietro il paravento della parodia (Chaplin, Buster Keaton), ma ben presto (THE CHAMP di King Vidor, è del 1931) come riferimento sempre più evidente al mito del Sogno Americano.

Come sua metafora positiva: datti da fare, affronta anche a pugni la vita, approfitta della fortuna che il caso prima o poi finirà per offrirti, e conquista cosi il tuo posto al sole dello zio Sam. Ma, egualmente, come scelta di un itinerario dalla conduzione perversa: quando il pugilato diventa lo specchio per le allodole, la scorciatoia per raggiungere il successo eclatante ma minacciato da altrettanto rapida decadenza, condizionato dai sempre dai rapporti con la malavita, minacciato dal ricorso al vizio.

THE FIGHTER non sfugge alla regola; ed è proprio questo l'aspetto meno interessante del film firmato da un regista piuttosto anonimo, David O. Russell; ma voluto con determinazione e interpretato con notevole intensità da Mark Wahlberg. Soprattutto seguito, passo dopo passo, da uno specialista della resa naturalistica come Darren Aronofsky (di vasta notorietà, più che per riflessioni di estetica cinematografica, per i vigorosi maltrattamenti inflitti ai malcapitati, ma in compenso superpremiati Mickey Rourke di THE WRESTLER e Nathalie Portman di BLACK SWAN) al quale era stata in un primo tempo proposto la regia.

Certo, quella di THE FIGHTER è una storia vera. È l'itinerario sportivamente anomalo, oltre che esistenzialmente travagliato come di dovere, dell'irlandese Micky Ward, che nel 2000 riuscì a vincere il titolo mondiale. Dopo aver asfaltato strade fino a 35 anni, convissuto con un fratellastro, Dicky Eklaund, ex pugile caduto in preda al crack, una madre-manager terrificante divoratrice, oltre a ben sette sorelle, orripilanti e parassite presente del coro. Ciò malgrado, agli evidenti, costanti accenti di verità del film nuoce progressivamente l'adozione degli stilemi più tradizionali, e quindi più prevedibili, della drammaturgia di genere: l'arte “nobile” di uno sport che premia comunque sulla sua violenza, il sangue del ring che lava quello dei marciapiedi, la perseveranza come sconfitta dell'handicap sociale o fisico, la redenzione (il finale, nel segno lagnoso della più tradizione edificante hollywoodiana) dal marasma generale, grazie al sacrificio del singolo.

Altrove, però, e a cominciare dalla bellissima parte introduttiva, il film vive all'opposto di una sua verità, di una sua luminosa facilità, di una sua originalità più che sorprendente. L'evidente, prepotente forza naturalistica non serve tanto agli autori per rappresentare la solita violenza sportiva o privata: ma, (camera a spalla, sfondi di una spontaneità autentica, un tono che più che drammatico si fa spesso grottesco, quasi ironico) per penetrare nell'intimità degli ambienti privati e pubblici di una cittadina in perdita di velocità, per sondare senza pedanteria un degrado sociale che si è fatto forzatamente morale, un privato divenuto sempre più isterico

Ciò è dovuto alla qualità dello sguardo; ma è dedicato in particolare alla resa straordinaria degli attori. Strameritato l'Oscar a Melissa Leo, insopportabile, cotonata vamp stagionata in impertinente minigonna; cosi come quello assegnato all'esagitato fratello, uno scheletrico Christian Bale che genialmente sfuma gli aspetti tragici del proprio personaggio in una dissacrazione intelligente e inedita. Sono loro, tutti i personaggi in genere (e molti recitano sé stessi) a giustificare ampiamente il successo e la riuscita del film.


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